Il Rancore degli Innocui13/9/2019 Dopo averci pensato per tre anni e lavorato per uno e mezzo, il mio secondo (e spero più maturo) progetto letterario é ora disponibile. Non so se riuscirò a fare lo scrittore sul serio, probabilmente no ma va bene lo stesso: scrivere mi aiuta a organizzare i pensieri. Come diceva Nietzsche: "scrivere meglio significa contemporaneamente anche pensare meglio". Questo per adesso mi basta.
C'è anche una playlist di Spotify inspirata alle ambientazioni e sensazioni dei 5 capitoli del libro: 13 tracce che seguono la montagna russa di emozioni descritta nelle pagine, pagine che forse (io lo spero) vi accompagneranno in questo venerdì 13 di settembre. Buon Venerdì 13! M. https://www.ilpapachescrive.com/books.html
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Scrittura Vs Ego...Vs Me8/7/2019 Mettiamo subito le cose in chiaro: non sono uno scrittore. Uso la scrittura come coping mechanism per metabolizzare la vita. C'è chi va in palestra, chi in chiesa, chi dipinge acquerelli e chi ha un canale youtube: a me piace scrivere storie ed editarle. Mi sento obbligato a specificare il carattere amatoriale della mia scrittura perché mi piace la chiarezza.
Penso che la cosa peggiore che può succedere a un'aspirante scrittore quando inizia a scrivere un libro, è innamorarsi della sua scrittura o di sé stesso, in altre parole: cadere vittima del proprio ego. Questo errore, che secondo me viene commesso almeno nel 50% dei casi, mina le fondamenta del processo creativo ed ha ripercussioni devastanti sull’opera finale, decretandone spesso l’insuccesso. Innamorarsi della propria scrittura, o cadere vittima del proprio ego, fa perdere oggettività: non si è capaci di guardare il proprio lavoro con occhio realistico. A tutti piace ricevere complimenti ma se a coprirti di lusinghe sono amici e parenti ai quali hai fatto leggere il tuo libro auto-pubblicato, la situazione è un po’ triste, vero? Il tuo libro finirà, come molti, a prendere polvere su uno scaffale. C'è qualcosa di sbagliato in questo? E' veramente così brutto pubblicarsi un libro da soli, a livello amatoriale? La risposta, secondo me, è: dipende. Amazon, tramite la piattaforma di direct-publishing KDP, offre a chi scrive e non ha un editore la possibilità di pubblicare la propria opera in forma semplice e poco costosa, tagliando fuori gli intermediari. Ho sentito tante storie circa cosiddette "case editrici" che, facendo levai sui sogni letterari dei più sprovveduti, offrono servizi di edizione e stampa obbligandoti a comprare un numero elevato di copie in anticipo. In Italia, paese in cui tutti sono scrittori ma solo pochi comprano libri, il mondo dell’editoria è una foresta difficile da penetrare, piena di trabocchetti, paludi e animali esotici. Il self-publishing è, da un lato, un sistema di distribuzione e go-to-market innovativo e semplice ma, dall’altro, è anche un mondo pieno di spazzatura. Si: opere fatte male, non professionali, editate alla carlona, ecc. Io mi sono auto-pubblicato avendo bene in mente questi rischi. Di sicuro uno dei principali motivi per cui ho scelto l’auto-pubblicazione è quello di essere completamente isolato dai circuiti dell’editoria: non appartengo a quel campo, non ho frequentato scuole di scrittura, ecc. Questo "isolamento", questo essere o sentirsi "fuori dal centro" è il risultato diretto della situazione socioeconomica in cui sono cresciuto, quella del sotto-proletariato periferico. Penso sia importante conoscere la connotazione politica della propria esistenza: è un punto di partenza, non necessariamente un ostacolo o un peso. L’altra ragione è il tempo che, a 37 anni, mi sembra sempre di meno. Sono stufo di aspettare che avvengano cose, le faccio avvenire io. Per finire, non posso non citare come spinte motivazionali, il carattere terapeutico della scrittura, insieme all’esigenza (o forse ossessione, chiamatela come volete) di "chiudere cerchi". Se c'è una cosa, qualsiasi cosa, che può darmi l'1% di felicità in più nella vita, io quella cosa la faccio e, negli ultimi tempi, provare a scrivere al meglio della mie possibilità è una di queste. La convinzione che tutti i libri auto-pubblicati siano scritti male, inediti e mal progettati è diffusa. Si, molti di loro lo sono. Troppi. Ma alcuni libri auto-pubblicati sono ottimi. Uno dei motivi principali per cui gli autori auto-pubblicano libri è che hanno troppi pochi anni a disposizione nella vita o troppo poca pazienza per seguire le vie tradizionali.
La maggior parte degli editori acquisterà solo quei libri portati loro dagli agenti, e per uno scrittore in erba trovare un agente può voler dire aspettare due anni o per sempre. In genere, gli agenti raccolgono due o tre nuovi autori su ogni 2000 manoscritti sottoposti a loro. (È utile se l'autore è imparentato con qualcuno nel settore dell'editoria o ha ottenuto un premio prestigioso). Una volta che un agente assume un autore, lui o lei richiederà una riscrittura del testo in base alla sua opinione su ciò che gli editori vogliono. Quindi, l'agente passa da sei mesi a due anni in cerca di un editore per acquistare il libro. Per ogni 1.000 manoscritti che vedono gli editori, ne acquisiranno circa tre. Fate voi il conto. Da tre a cinque anni nel processo, quasi tutti gli autori rinunciano. Inoltre, i vantaggi dell'editoria tradizionale sono venuti meno. Una volta generose anticipazioni sono ora riservate a autori e celebrità già famosi. Per tagliare i costi, gli agenti e gli editori di oggi non accetteranno manoscritti fino a quando non saranno stati modificati professionalmente a un costo per l'autore che va da 1.300 a 8.000 EUR. E se non sono John Grisham o Bill Clinton o Nora Roberts, ora gli autori fanno la maggior parte del proprio marketing - e pagano anche per questo. Non meraviglia che l'auto-pubblicazione sia così popolare. Negli ultimi dodici anni, il numero di libri auto-pubblicati è salito da circa 75.000 all'anno a oltre 1,5 milioni negli Stati Uniti. Questa è contemporaneamente una buona e cattiva notizia. Il bello: tutti hanno la possibilità di scrivere il Great American Novel o un memoriale straordinario. Il brutto: è difficile per i lettori setacciare quel raccolto per trovare il frutto migliore. Di conseguenza, molti non ci provano nemmeno. Se un libro non è pubblicato da un editore tradizionale di New York o europeo, non lo prenderanno nemmeno in considerazione. Lo stesso Umberto Eco affermò che "una casa editrice ti prende in considerazione solo se ti conosce già. Anche se ti raccomanda l’Autore Eccelso, gli dà ascolto solo se ti conosce già". Dovrei quindi rinunciare al mio desiderio di scrivere? Oppure perdermi nella giungla delle case editrici che ti pubblicano in cambio di soldi, le agenzie letterarie e via dicendo? Qui l'articolo originale da cui ho preso spunto, di MARJ CHARLIER | Inlandia Literary Journeys. Quando ero piccolo, dal ‘88 al ’94 (6-12 anni), le serate d’inverno le passavo principalmente di fronte la TV. I programmi che possono definirsi seriali e sono sicuro di aver guardato per intero sono molti, ne riporto alcuni, escludendo film e cartoni animati: Fantastico, La Piovra (stagioni 3, 4 e 5), I segreti di Twin Peaks, I racconti della cripta, A-Team, Supercar, Super Vicky, Ralph Supermaxieroe (che è dell’81-83), Visitors, Alf, Webster, Casa Keaton, I Robinson, Genitori in Blue Jeans, Mac Gyver, X-files, ecc.
La lista potrebbe continuare, questi sono soltanto i titoli che mi vengono in mente senza pensare, con un po’ di ricerca sono sicuro che sarebbero molti di più. Mi sono sempre chiesto se le teorie che associano l’uso/abuso di TV con i problemi di sviluppo delle capacità cognitive dei più giovani siano vere e se, come nel mio caso, le abbuffate (io le chiamo maratone) di serie televisive sulle piattaforme di streaming come Netflix, siano la prova che guardare molta Tv rende stupidi. Binge-watching è il termine usato per definire l’atto di guardare molti episodi di un programma o serie tv in un giorno solo (binge = dedicarsi ad una attività con eccesso, come mangiare). A me capita spesso, di solito la sera dopo il lavoro, mi piazzo sul divano o nel letto e, insieme alla mia ragazza, ci mettiamo alla ricerca della prossima serie da guardare. Con le piattaforme di streaming come Netflix, questo fenomeno è diventato una nuova forma di consumo dei contenuti multimediali. La cosa interessante di Netflix, da un punto di vista prettamente tecnologico, è la capacità di analisi di dati che l’azienda americana ha a disposizione per suggerirci il contenuto più adatto a noi, analizzando i nostri comportamenti precedenti. "Ci sono 33 milioni di versioni diverse di Netflix" Con questa frase Joris Evers, ex CCO (Chief Communication Officer) dell’azienda Californiana, spiegava come il servizio, utilizzando un algoritmo di raccomandazione che si basa sulle scelte degli utenti, sia diverso per ognuno di noi. Netflix ha superato da tempo i 130 milioni di utenti, essendo un servizio che sfrutta la connessione internet, è capace di utilizzare una quantità enorme di dati, che usa per fare in modo che gli utenti non cancellino gli abbonamenti. Per esempio, Netflix sa quando metti pausa il film o la serie, riavvolgi o avanzi velocemente; sa che giorno guardi i contenuti (Netflix ha scoperto che la maggior parte delle persone guardano serie tv durante la settimana e film il fine settimana.); a che ora guardi i contenuti; da dove guardi (codice di avviamento postale); quale dispositivo utilizzi per guardare (tablet, tv, pc, iPad, ecc.); quando metti in pausa e smetti di guardare il contenuto (e se ritorni a guardarlo); le valutazioni fornite (circa 4 milioni al giorno); cosa cerchi (circa 3 milioni di ricerche al giorno); cosa guardi nella finestra di navigazione e scorrimento principale, ecc. Attraverso l’analisi di dati come questi, Netflix può sapere, ad esempio, quanti contenuti gli utenti dovrebbero guardare per essere meno inclini a cancellare l’abbonamento. Come fai a tenere le persone collegate al servizio? Offrendo contenuti di qualità e introducendo piccoli stratagemmi tecnici, come il post-play, che fa iniziare il capitolo successivo della serie senza che tu debba fare nulla. Usando questo sito, ho provato a calcolare il tempo trascorso di fronte a Netflix nel 2018, il risultato è il seguente: 31 Giorni, 2 Ore e 24 Minuti Ho ottenuto il numero arrotondando per difetto, dato che alcune serie non ricordavo neanche di averle viste, mentre di altre ho visto solo alcuni episodi e non sono state incluse nel conteggio minuti. Un mese di vita di fronte al computer o TV, è una cosa brutta? Dipende, secondo alcuni bisogna abbandonare l'idea che “abbuffarsi di serie” sia un passatempo meno degno che leggere un romanzo. Immergerci nelle narrazioni di Netflix può essere anche un bene, a patto che lo apprezziamo veramente per quello che è: un piacere. Non un piacere colpevole, semplicemente un piacere. Se invece ci sentiamo in colpa perché siamo depressi, non ci stiamo occupando di una situazione che richiederebbe la nostra attenzione o stiamo procrastinando, allora si, è un problema. Guardare serie su Netflix può rilassarci e farci disconnettere dopo una giornata di lavoro e anche stimolare la nostra attenzione, senza la quale non saremmo in grado di seguire i plot narrativi intricati che caratterizzano moltissime serie di oggi. Tutto bene quindi? Dipende dall’età e da fattori socioeconomici Secondo questo studio, bassi livelli di attività fisica e alti livelli di visione televisiva durante la giovinezza sono spesso associati a prestazioni cognitive peggiori nella mezza età. In altre parole, se da piccolo guardi per ore la tv senza giocare, fare sport o parlare con un adulto, a 25 anni potresti essere un po’ più lento dei tuoi coetanei nell’apprendimento. Lo studio mette in evidenza qualcosa che pare ovvio: a poca attività fisica e tempo di visione televisiva elevato equivale propensione ad avere una scarsa funzione cognitiva. La TV fa male allora? Dipende anche dalla classe sociale. I risultati dello studio, per i figli di genitori poveri, sono del tutto diversi. Più TV guardano, migliori sono i loro voti a scuola. Se i genitori non sono stimolanti, allora i bambini fanno meglio a guardare la Tv che a parlare con loro, triste a dirsi vero? Per inciso, non è solo uno stereotipo che i nuclei famigliari più disagiati siano impoveriti anche intellettualmente. La ricerca ha dimostrato che i genitori in condizioni precarie, costretti a trascorrere gran parte della giornata a lavoro, passano molto meno tempo a parlare con i loro figli rispetto alla classe lavoratrice, o ai genitori professionisti, producendo (senza volerlo) un vocabolario impoverito per i loro figli. Conclusione? Se avete più di trent’anni è difficile che il vostro comportamento cambi quindi vi dico: Abbuffiamoci di serie come se non ci fosse un domani! L’importane è che lo facciamo senza sentirci delle merde. Se invece siete più giovani, non abbiate fretta di chiudervi in casa a guardare Netflix, avete tutta la vita di fronte per sedervi sul divano! Lisboa...7/3/2018 Di seguito una breve e personalissima raccolta di tips su Lisboa. Ho vissuto a Lisboa dal 2008 al 2012, ci torno tutti gli anni a far visita agli amici, che nel frattempo hanno messo su famiglia. Oggi Lisboa è una città molto diversa rispetto a quella che ho conosciuto io, questa mini-guida risale a quei tempi. Baixa: Questo bairro si trova fra Alfama - quartiere medievale, con castello, una delle 7 colline di Lisboa – e Bairro Alto - quartiere notturno. La strada principale della Baixa è Rua Augusta, finisce con un arco che poi si affaccia su Praça do Commercio e quindi sull’estuario. Da notare la pavimentazione fatta tutta con la tecnica della calçada portuguesa, mosaico fatto a mano, senza uso di cemento. Non spaventatevi se, appena arrivati, dei ciganos, cercheranno di vendervi cosiddette “sostanze stupefacenti” fatte con il dado Knor. Non dite no, non dite si, non dite niente e passate avanti, se interagite vi romperanno il cazzo. La Baixa è piena di giorno e poi, verso le 22 inizia a svuotarsi. Bairro Alto: Salendo da Baixa si incontra prima lo Chiado - quartiere medio-borghese, da notare qui è il Caffè la Brasileria, dove F.Pessoa beveva caffè e assenzio negli anni 30, infatti fuori c’è la sua statua. Una volta che si arriva Praça Camoes sul lato destro, salendo, ci si inerpica tra una rete labirintica di vicoletti, quello è il Bairro Alto. Viene venduto come quartiere della vita notturna, ma in realtà è molto turistico. Alcune strade del Bairro Alto che mi piacciono con relativi bar: Rua da Atalaia, c’è un bar minuscolo con live dj tutte le sere che si chiama a “Capela”. Oppure il Maria Caxuxa. Alfama: Bello, in salita, medievale, romantico, grande vista dal Miradouro da Graca, il castello, i gatti, le sardine, le case con le porte piccole piccole…C’è un mercatino che si chiama “Feria da Ladra”, molto bello da vedere, si fa 2 g a settimana. Cais do Sodré: Uno dei miei preferiti per la vita notturna. Bar da vedere: Music Box, Viking, Sol e Pesca, Pensao Amor, Jamaica. Qui c’è una commistione assurda fra hipsters, sbandati, persone serie, fighetti, prostitute, papponi, tutto misturato: molto bello. Da vedere, secondo me - Lounge Bar in rua da Moeda, sempre a Cais do Sodrè – il mio preferito. - Prendersi una birretta pomeridiana da 1 euro al miradouro di Santa Caterina, detto anche Adamastor. - Mangiare il frango assado nel risotrante “Casa da India”, top! - Ristorante buono a Baixa: Os Dois Arcos - Andate a salutare Valter, Mario, Natacha e Ines al Living Lounge o Lisbon Lounge Hostel! - Bere una Ginginha in un bar minuscolo, vicino il teatro a Praça Rossio. Senza ciliegia, mi raccomando! - Visitare la Casa do Alentejo in rua das Portas de Santo Antao. Costa Alentejana
Di seguito trovate evidenziato il pezzo di costa secondo me più bello e incontaminato: Costa Alentejana. Guardate le spiagge evidenziate sulla parte sinistra della mappa, Zambujeira do Mar, Arrifana, Odeceixe, Carrapateira. Ci sono anche campeggi. Poi c'è una che si chiama Galè, con campeggio annesso. Qualcosa di autentico14/2/2018 Ascolto molta musica e leggo altrettanti libri ma fare recensioni non mi piace. Che senso ha avere un sito (o un canale) su sé stessi se poi si parla soltanto di altro, degli altri: di contenuti creati da altri? Entrare nell'indotto cultural-industriale della critica artistica o recensionale (esiste questa parola?) non mi interessa e poi c'è già molta gente che lo fa a livello professionale e molto bene. Un sito (o un blog) non può che essere autoreferenziale e questo sito è la mia isola, la rappresentazione in formato web della mia personalità (o parte di essa). Scrivo sempre la stessa canzone, poesia, articolo. Lo stesso verso, le stesse note: in ordine diverso ma sempre cercando di condensare un'idea in un formato fruibile dagli altri. Lo faccio da anni e fallisco sempre: il prodotto finale non combacia mai con quello che avevo in mente. Incapacità di trasformare le idee in fatti? Probabilmente si. Faccio auto-sedute di psicoanalisi spicciola con me stesso per giustificare e rendere più accettabile la mediocrità e incompletezza dei miei progetti personali: in fondo è soltanto un hobby, mi dico. Eppure, se qualcuno dei miei progetti (una canzone, un libro) avesse successo ne sarei davvero felice, ovvio vero? Provo a chiedermi il perché. La prima risposta che mi do è che il successo, seppur piccolo e circoscritto, soddisfa l'ego e sarebbe un toccasana per la mia autostima (non che sia bassa ma sicuramente crescerebbe). Un'altra spiegazione circa il desiderio di successo, apparentemente non ricercato ma segretamente sperato, sta nella sensazione di realizzazione che ne deriverebbe. Facciamo chiarezza: Secondo me Risultato e Realizzazione sono due cose differenti. Raggiungere dei risultati nella vita ha a che vedere con degli obiettivi esterni, come ad esempio risultati che possiamo raggiungere nel mondo del lavoro. La realizzazione invece é dettata da degli obiettivi interni, più intimi e personali. Io, ad esempio, sento di aver ottenuto ottimi risultati nella vita ma la realizzazione, ovvero quel sentimento di appagamento che si può trarre da un lavoro, una relazione, una città o tutti quanti questi aspetti della vita combinati insieme, è un discorso diverso. Forse la piena realizzazione non esiste o forse bisognerebbe scendere a patti con sé stessi per ridimensionare le aspettative e gli standard qualitativi (a volte troppo rigidi o utopici) che ci autoimponiamo. Lo stress da successo (o insuccesso) deriva anche dalla necessità di validare noi stessi: se ho successo vuol dire che quello che faccio ha valore, quindi la mia vita ha un senso. Al contrario, se non ho alcun successo, l'ansia di essere "semplice" o mediocre mi assale e provo a darmi da fare per uscire da questo circolo vizioso. Può la ricerca del successo essere il motore per combattere la mediocrità? E che dire di coloro che sono famosi senza aver creato nulla? Viviamo nell'epoca dei trend e dei video virali, dove contenuti discutibili diventano enormemente famosi in pochissimo tempo grazie a Twitter, Youtube, etc. Non mi interessa fare la critica o la morale ai creatori di contenuti, figuriamoci. Mi interessa soltanto esplorare le mie ossessioni e fin qui ho capito soltanto una cosa: mi piacerebbe creare qualcosa di cui sentirmi fiero al 100%, con o senza successo, l'importante è che possa dire: “Meglio di così non riesco a fare”. Questo già sarebbe un bel traguardo. Poesilia: viottoli di auto-abbandono14/12/2017 Io perdo sempre, soprattutto quando vinco.
Cose finte fatte male, tanto per fare. Cose finte fatte in fretta per mettere un pezza. Vado al mare nello stesso posto in cui lavoro, non so se sia un bene o un male Odio molte cose, soprattutto persone. Inutile fare l'elenco, gli elenchi sono una delle cose che odio di più. All'anima serve una spintarella, un aiutino. L'esistenza ha bisogno di stimolanti, quello che resta dopo sono soltanto gli stimolanti stessi, senza stimoli e senza anima. Vorrei una storia da raccontare, un ricordo da portare a casa. Qualcosa da poter stringere tra le mani: quello che importa per me nella vita, quello che mi da la forza di ingoiare merda per poter stare diritto in piedi Io sono un posto vuoto, aspetto che il treno passi per poi lamentarmi di non averlo preso Non ti preoccupare Stai calmo È normale Ti capisco Lo so che fa male Quello che non sono Quello che non vorrei mai diventare Quello che faccio e che mi definisce nonostante non mi piaccia affatto a volte, molte volte, bisognerebbe evitare, evitarsi, evitarvi e evitarmi. Chaos: a way through it19/9/2017 When I was a student at the University of Perugia, my Film-Aesthetics professor made a speech to our class at the end of last year: "you bought the manuals and books we told you to buy, you studied them and understood their content, that’s good…but now forget them! Go out there and learn by building your own path. Now it's time to embrace life, It’s time to play your part of the story”.
Even if at first I was not sure of the meaning of this advice - I was not sure it was an advice at all - those words stayed with me for long time. My take out of it was not to be afraid of living life and welcome all different inputs for my professional career. Be able to learn even from bad situations. Do not fear failure but embrace it. If I was capable to recover from a project, job or relation that went wrong without fear of the despair that usually follows these kind of situations, I would probably gain strength and fear nothing. Do not follow Idols or so-called Masters but be open to extract a lesson from everybody, even people I don’t like, shaping my path by contrast, not only by affinity. Going further back, when I was in High-School, I remember my Music teacher using a very difficult word to pronounce: “Gesamtkunstwerk”, translated into English as “Total work of Art”. A term used for the first time in 1827 by German philosopher Trahndorff and then used by Richard Wagner. The term indicated the ideal of theatre where music, dramaturgy, poetry and figurative arts converge in order to achieve a perfect synthesis of the various arts. The idea of putting together so many styles and disciplines and make them coexists as a single unit always intrigued me. What if that was possible with every aspect of life too? Growing up, I recall asking myself many times if (and how) I was going to ever be able to shape my life the way I wanted. How was I going to go through the mess of economic crisis, low-employment rates, globalisation, relationships, etc. How to give order to my life, how to gain control? It was hard for a while but gradually I understood It was all connected to Ethics and Energy. “Anything that can go wrong, will go wrong” Murphy's Law states, and It may sound pessimistic - I know - even more if we use this quote to define how modern life feels like sometimes. The truth is that life is not only difficult, it’s also extremely complicated. Too many factors, too many uncontrollable variables. We call these uncontrollable variables “Chaos”, also known as Entropy. The second Law of Thermodynamics says that “The total Entropy can only increase over time for an isolated system” meaning that It’s natural for things to lose order. If not organised, life (or a Company) will lose order and increment entropy, reaching a status of chaos, where everything It’s more likely to go wrong. Since I was very young, I often felt out of sight, not at peace with the “environment” I was living in and I could never really understand why. I recently came across a theory called “evolutionary mismatch”. Because evolution is gradual and environmental changes often occur very quickly on a geological scale, there is always a period of "catching-up" as the population evolves to become adapted to the environment. It is this temporary period of "disequilibrium" that is referred to as mismatch. I encountered that mismatch and felt "disequilibrium" many times in my life: wrong city, wrong job, wrong time of the year, wrong plans, wrong friends, etc. Fortunately, Ethics and Energy - two pillars of life - were there to help. Ethics for me is attitude, style, the ensemble of values that helps me build a wide vision/approach on life and Energy is force, motivation, drive, that allows me to control entropy, not to overcome it. Because, even if equipped with bright minds and strong egos, men will never win against entropy and nature, that’s a fact. But for sure we can create systems of values that help us navigate thought it, learning from it. Quiet-Chaos, that’s what life is - at least for me - a mix of different elements that coexist together, like in Nature, Arts or Math, and as Robert Frost once said: “The best way out is always through”. Sources: Alan Singer, James Clear, John Dewey, Robert Frost, Mario Bunge. |